Immobili ereditati o donati: imposta di successione e donazione

IMMOBILI EREDITATI O DONATI: LE IMPOSTE DI SUCCESSIONE E DONAZIONE

con estensione alle agevolazioni “prima casa”

Le imposte di successione o donazione aumentano proporzionalmente alla distanza del grado di parentela tra il “ de cuius” e l’erede o tra il donante e il donatario. 

Nel caso ad esempio gli eredi siano moglie e\o figli, ciascun “chiamato” all’eredità avrà una franchigia di un milione di euro mentre per fratelli e sorelle la franchigia è di sole 100 mila euro ciascuno .

Oltre la franchigia suddetta di un milione per ogni erede o donatario, se l’erede è il coniuge o il discendente in linea retta l’imposta di successione sarà del 4%, se l’erede è un fratello o sorella oppure un parente entro il 4º grado allora l’imposta di successione sarà del 6%, se invece è un parente più lontano o addirittura un estraneo l’imposta di successione sarà dell’8%”.

Se si ereditano immobili sono inoltre dovute al Fisco le imposte ipotecaria e catastale. Il valore catastale dell’immobile si ottiene moltiplicando la rendita catastale (rivalutata del 5%) per 110 nel caso di prima casa; 120 nel caso di fabbricati appartenenti ai gruppi catastali A e C (esclusi quelli delle categorie A/10 e C/1); 140 nel caso di fabbricati appartenenti al gruppo catastale B; 60 nel caso di fabbricati delle categorie A/10 (uffici e studi privati) e D; 40,8 nel caso di fabbricati delle categorie C/1 (negozi e botteghe) ed E. Per i terreni non edificabili il valore imponibile si determina moltiplicando per 90 il reddito dominicale già rivalutato del 25%. Una volta determinato il valore catastale si determina l’imposta ipotecaria nella misura del 2% del valore catastale e l’imposta catastale nella misura dell’1% del valore catastale, con un versamento minimo di 200 euro per ciascuna imposta. L’importo così rilevato deve essere versato al Fisco.
Se l’immobile non di lusso sarà destinato come prima casa le imposte ipotecaria e catastale si pagano nella misura fissa di euro 200 per ciascuna imposta.

Per quanta riguarda le agevolazioni prima casa nell’ ambito di trasferimento per successione e donazione si può pure qui parlare di agevolazioni prima casa e i requisiti sia soggettivi che oggettivi che richiede la legge sono identici a quelli di cui si è parlato per gli acquisti a titolo oneroso. Si deve trattare di un erede o di un donatario persona fisica, deve essere un immobile ad uso abitativo, non deve essere un immobile di lusso o appartenente a particolari categorie catastali e non deve rientrare nelle categorie catastali A1/A8/A9/A/10. 

L’ erede o il donatario deve avere la residenza nel Comune ove è ubicato l’ immobile o deve impegnarsi a trasferirla entro 18 mesi, non deve rivendere entro i cinque anni dalla successione o dalla donazione se non vuole pagare imposte non versate, sanzioni e interessi e soprattutto deve dichiarare di non essere titolare nemmeno per quote anche con il coniuge di un altro immobile acquistato con le agevolazioni prima casa; ciò a meno di Dichiarazione in cui ci si impegna a vendere o a donare l’ immobile posseduto entro l’anno dall’acquisto agevolato. Per quanto riguarda l’aliquota agevolata nel caso in cui la successione o la donazione sia tassata come prima casa, l’agevolazione consiste in una riduzione dell’imposta ipotecaria – che dal 2% passa all’imposta fissa di 200 euro – , e dell’imposta catastale – che dall’1% passa anch’essa a una somma fissa di 200 euro”.

Un aspetto agevolativo di rilievo relativo all’imposta prima casa applicata alle successioni e donazioni è quella della estensione totale del beneficio anche a un solo singolo beneficiario: per esempio se un immobile viene ereditato o acquistato a titolo di donazione da più persone che per la maggior parte non possiedono i requisiti prima casa, perché tutto l’acquisto venga tassato come prima casa è sufficiente che sia dotata di requisiti prima casa anche soltanto un erede o donatario.

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Detrazioni fiscali per mutui prima casa e ristrutturazione

DETRAZIONI FISCALI PER MUTUI 2019

Come ogni anno arriva il momento della Dichiarazione dei redditi.

1- Ecco le detrazioni possibili per risparmiare se si sta pagando un mutuo per la prima casa:

detrarre il 19% degli interessi passivi e degli oneri accessori, nell’ ambito di un tetto massimo imponibile di 4 mila euro. Ne consegue che avranno diritto ad un massimo di 760 euro di detrazione sulle imposte da versare all’ erario. Oltre agli interessi passivi su cui calcolare le detrazioni ci sono gli oneri accessori. Per oneri accessori si intendono: l’onorario del notaio relativo all’atto di acquisto dell’immobile, le imposte di registro e quelle ipotecarie e catastali liquidate per l’ acquisto, le spese sostenute per eventuali autorizzazioni del giudice tutelare e\o quelle relative ad acquisto nell’ambito di una procedura concorsuale, l’onorario del notaio relativo alla stipula del contratto di mutuo, le spese bancarie afferenti al contratto di mutuo comprese le spese di istruttoria e perizia tecnica, gli oneri fiscali (compresa eventuale iscrizione/cancellazione di ipoteca, imposta sostitutiva sul capitale prestato), eventuali penalità per anticipata estinzione del mutuo. Non sono invece considerate oneri accessori le spese per l’assicurazione dell’immobile richiesta dalla banca per stipulare il contratto di mutuo.

2- Requisiti soggettivi e oggettivi Per usufruire delle detrazioni:

a) il mutuo deve essere stato stipulato nei 12 mesi precedenti o successivi all’acquisto;

  • b) deve essere erogato da un soggetto residente in Italia o nella Comunità Europea;

  • c) deve riguardare un immobile da adibire a prima casa entro i 12 mesi dall’acquisto;

  • d) essere stipulato dal proprietario della casa, non, ad esempio, dall’usufruttuario.

La detrazione spetta dalla data in cui l’immobile è adibito ad abitazione principale e comunque entro due anni dall’acquisto, se l’immobile è oggetto di lavori di ristrutturazione edilizia. Spetta altresì:

– nel caso di acquisto di un immobile locato se la locazione precedente viene dichiarata conclusa entro tre mesi dall’ acquisto e se, entro un anno dal rilascio, l’immobile viene realmente adibito ad abitazione principale;

– se il contribuente trasferisce la propria dimora per motivi di lavoro oppure in istituti di ricovero o sanitari, a condizione che l’immobile non sia affittato.

Nessuna detrazione per i mutui seconda casa stipulati dopo il 1 gennaio 1993.

3- Detrazione interessi per i mutui per la costruzione e la ristrutturazione.

Per quanto riguarda i mutui costruzione e ristrutturazione, si possono detrarre gli interessi passivi, sempre nella misura del 19%, su un massimo di 2582,28 euro per quelli stipulati a partire dal 1998.

4- Documentazione per la detrazione degli interessi sul mutuo e oneri accessori:

Per poter usufruire della detrazione di quanto sopra occorre presentare la documentazione che attesti i pagamenti delle rate del mutuo, il contratto di mutuo e l’atto di acquisto della casa, oltre che le fatture e i documenti relativi agli oneri accessori e ad un’autocertificazione sul fatto che la casa in questione sia l’abitazione principale.

In caso di mutuo cointestato, a poter scaricare gli interessi passivi è il titolare del mutuo che è anche proprietario di almeno una quota della casa. Se lo sono tutti i cointestatari del mutuo, la detrazione va suddivisa tra loro. Nel caso di due coniugi cointestatari, di cui uno sia fiscalmente a carico dell’altro, colui che dichiara i redditi può usufruire del 100% della detrazione.

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Aumentano le compravendite nel 2018 ( anche se i prezzi scendono ancora )

AUMENTO DELLE VENDITE DEL 10% NEL PRIMO SEMESTRE 2018  MA PREZZI ANCORA IN CALO

Le rilevazioni effettuate dai principali indicatori istituzionali nazionali riportano che nel primo semestre 2018 sono state registrate circa 440.000 compravendite di immobili di qualsiasi genere, di cui 335.000 circa riguardanoesclusivamente compravendite di fabbricati le quali registrano un aumento del 10,72% rispetto allo scorso anno a fronte di una continua riduzione dei prezzi.

Premesso che già il 2017 aveva fatto segnare un calo del -17% sui valori medi delle vendite di fabbricati ora, nel primo semestre 2018 assistiamo a un ulteriore calo del -5%.

Accanto ad un aumento pressoché omogeneo di compravendite di fabbricati su tutte le varie fasce di prezzo, il dato più interessante appare l’aumento del +26,73% delle compravendite per gli immobili  di valore superiore ai 900.000 euro.

Ha ripreso quota inoltre il mercato per la vendita di terreni agricoli rispetto ai terreni edificabili che aumenta del +3% circa nei primi sei mesi del 2018 rispetto all’anno precedente ( si tratta però di pezzature concentrate nella prima fascia di prezzo sotto i 100.000 euro.

Sotto il profilo fiscale su circa 250.000 fabbricati abitativi per il 70% è stata chiesta l’agevolazione prima casa, confermando il trend secondo cui oltre la metà degli immobili abitativi in Italia viene acquistata con le agevolazioni prima casa.

Anche in questo semestre si osserva un rallentamento delle vendite immobiliari dalle imprese ( va però considerato il forte rallentamento del settore delle costruzioni per la rivendita) tant’ è che gli immobili abitativi continuano a essere venduti più da privati che da imprese.

Nel I semestre 2018 il 91,00% circa dei fabbricati abitativi è stato venduto da privati, mentre le imprese hanno venduto  il restante 9,00 % circa degli immobili abitativi.

Il discorso dei mutui segue di pari passo l’ incremento del numero delle vendite con un aumento degli stessi rispetto al periodo precedente di circa il 6% con assoluta prevalenza dei finanziamenti di importo fino a 150.000 euro, (aumentati di circa il10%) rispetto a quelli di importo compreso tra i 200.000 e i 300.000 euro che però stanno riprendendo quota. Ciò è segno di una probabile ripresa anche degli investimenti medio/alti.

Continua positivamente il calo delle surroghe che segna un altro -30% rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso. Le abitazioni per le quali sono state richieste maggiormente le agevolazioni prima casa sono le abitazioni di tipo civile, A/2 (il 50% del campione) e le abitazioni di tipo economico, A/3 (il 30%), mentre i villini, A/7, costituiscono  il 10% del campione.

Ciò a conferma che per gli italiani la “ prima casa” continua adessere un bene irrinunciabile, una meta e forse per molti non più un miraggio, complice la congiuntura del periodo con prezzi in calo.

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Il certificato di agibilità e la commerciabilità dei fabbricati

Il certificato di agibilità e la commerciabilità dei fabbricati

Come indicato al paragrafo precedente il Certificato di agibilità attesta le condizioni di sicurezza,igiene, salubrità, risparmio energetico degli edifici e degli impianti in essi installati e viene rilasciato dal dirigente o dal responsabile del competente ufficio comunale. Poiché esso attesta anche le condizioni di sicurezza del fabbricato, il suo rilascio è subordinato alla presentazione al Comune del certificato di collaudo statico, del certificato di conformità alle norme antisismiche delle opere eseguite, della dichiarazione di conformità alle norme in materia di accessibilità e di superamento delle barriere architettoniche, dell’ Attestato di Prestazione Energetica. Tralasciando le modalità di rilascio del Certificato di agibilità e\o della sia diretto o per silenzio- assenso o per presunzione di Legge, si può affermare che in linea generale per la commerciabilità degli edifici non è necessario che sia stato rilasciato il certificato di agibilità, né per la validità degli atti comportanti il trasferimento degli stessi è necessaria la menzione dell’agibilità. Tuttavia va precisato che qualora a essere venduto sia un edificio privo del certificato di agibilità, si pone l’esigenza di regolamentare i rapporti tra le parti anche al fine di evitare l’insorgere di future contestazioni. L’agibilità, se da un lato non incide sulla commerciabilità giuridica di un fabbricato, dall’altro, costituendo il presupposto per l’utilizzabilità di un fabbricato incide in maniera rilevante sulla commerciabilità “economica” dello stesso fatto salvo il patto contrattuale tra le parti stesse di trasferire l’ immobile senza agibilità.

Il venditore assolve ai propri obblighi sull’agibilità anche quando, in mancanza di una formale certificazione può dimostrare che l’agibilità si è formata per silenzio-assenso. Sorge tuttavia a carico del Venditore l’onere, a richiesta del notaio o dell’acquirente,di comprovare che l’istanza sia stata presentata con la dovuta documentazione ai fini abitativi, commerciali, industriali,direzionali, altro.

Va precisato che il rilascio del certificato di agibilità da parte del Comune non garantisce la regolarità urbanistica ed edilizia del fabbricato trasferitoContrariamente a quanto si è portati a pensare, la funzione del certificato di agibilità non è quella ( o almeno non solo quella) di attestare la conformità dell’edificio al progetto approvato e quindi la sua regolarità edilizia al momento del rilascio del Certificato. Il Certificato di agibilità attesta l’idoneità dell’edificio – sotto il profilo igienico sanitario, della sicurezza e del risparmio energico – a essere utilizzato e quindi attesta la sua idoneità all’ uso per cui è stato destinato.

Il certificato di agibilità e il contratto preliminare

Nel caso di stipula di un preliminare avente per oggetto un fabbricato privo dell’agibilità, dal contratto dovranno emergere quelle che sono le intenzioni delle parti al riguardo e dovrà disciplinare in maniera chiara le intenzioni delle Parti contraenti in merito al Certificato stesso nonché tutti gli aspetti controversi che si possono presentare in un trasferimento immobiliare – tra i quali anche gli aspetti relativi alla presenza o meno dell’agibilità, è condizione imprescindibile per garantire il buon fine dell’intera compravendita destinata a concludersi con la stipula del rogito. Possiamo trovarci di fronte ai seguenti casi:

1) fabbricato dichiarato agibile dal Venditore. Tale circostanza dovrà risultare, su dichiarazione del promittente venditore, anche dal contratto preliminare;

2) fabbricato non ancora dichiarato agibile sarà quanto mai opportuno stabilire nel contratto Preliminare se la stipula del rogito definitivo è subordinata al rilascio dell’agibilità e questo perchè è nella volontà delle parti trasferire un fabbricato agibile;

3) fabbricato ceduto privo dell’agibilità, in quanto al grezzo, da ristrutturare o comunque in uno stato tale da non poter essere dichiarato agibile.La presenza dell’agibilità (per dichiarazione espressa o per silenzio-assenso) costituisce di per sé un elemento che non può essere trascurato sia nella fase della trattativa sia nella fase della contrattazione immobiliare. La presenza dell’agibilità influisce infatti sul consenso da parte dell’acquirente che potrebbe non essere disponibile ad acquistare un fabbricato privo dell’agibilità. Va ricordato che l’agibilità è infatti condizione essenziale per la concreta utilizzabilità di un fabbricato ( e non per la certificazione di regolarità edilizia e urbanistica).Proprio in relazione a quanto sopra per rimarcare la funzione economica del Certificato di agibilità e quanto lo stesso impatti sulle condizioni di vendita. E’ plausibile che la parte acquirente potrebbe essere disponibile ad acquistare un fabbricato privo dell’agibilità, purché di ciò si tenga conto nella determinazione del prezzo.

La provenienza ante 1967, ad esempio, o il rilascio di un condono perché l’immobile era totalmente abusivo, spiegano sufficientemente la mancanza della certificazione, sicchè l’acquirente, se vuole comprare deve prudentemente informarsi esattamente sulla rispondenza di fatto dell’immobile alle sue esigenze, e prima dell’acquisto. Una eventuale imprudenza, in questo caso, non consente poi all’acquirente di esercitare il suo diritto perchè se acquista un immobile ante 1967 è ovvio che doveva sapere che l’agibilità mancava. Potrebbe inoltre presentarsi il caso che lo scopo delle parti sia proprio quello di trasferire fabbricati privi dell’agibilità come nel caso del trasferimento del fabbricato al grezzo da completarsi a cura dello stesso acquirente che assume a proprio carico le operevdi finitura e quindi anche l’onere di richiedere l’agibilità ovvero del trasferimento di un fabbricato dismesso, dichiarato inagibile per le sue precarie condizioni di conservazione e che l’acquirente acquista al fine di procedere alla sua radicale ristrutturazione. Come siè visto il trasferimento di fabbricati privi di agibilità è senza dubbio possibile e l’ assenza dello stesso non viene dalla Legge indicato come causa di invalidità dell’atto di compravendita. La normativa attualmente in vigore contempla anche la figura della cosiddetta “agibilità parziale”, riguardante cioè solo porzioni, funzionalmente autonome, di un determinato fabbricato, o solo alcuni edifici, nell’ambito di più vasti e articolati complessi immobiliari (i “condomini orizzontali” e i “super-condomini”). L’art. 25 c. 5bis del T.U. DPR 380/2001 prevede inoltre una forma alternativa al certificato di agibilità, ossia la dichiarazione di conformità e agibilità (rilasciata dal direttore lavori o da un professionista abilitato). Il rilascio del certificato di agibilità non impedisce comunque al Comune di poter dichiarare l’inagibilità di un edificio o di parte di esso qualora siano venute meno le condizioni di sicurezza, igiene e salubrità. Nessuna norma regola attualmente le conseguenze della mancanza del certificato di agibilità al momento della stipula dell’atto notarile. Anzi si può affermare che non vi è nessuna legge che contempla un obbligo di preventivo rilascio e consegna del certificato di agibilità per ogni tipo di costruzione eseguita in tempi precedenti alla legge citata, anzi appare chiaro che la legge 380/2001 è il puntto discrimenante che esclude addirittura il rilascio del certificato di agibilità da parte delle Amministrazioni comunali qualora si tratti di vecchie costruzioni per le quali non siano stati compiuti interventi edilizi dopo l’entrata in vigore della legge citata. Per comprendere la problematica nascente dalla solo apparente contraddizione tra la norma e lagiurisprudenza occorre distinguere tra la mancanza del certificato di agibilità e la mancanza della agibilità sostanziale. Si tratta di due aspetti distinti, il primo formale e il secondo sostanziale, perché se la presenza del certificato di agibilità conferma la esistenza della agibilità dell’immobile per un determinato uso, la mancanza del certificato non comporta necessariamente la assenza di agibilità. E’ dato riscontrare infatti che la mancanza del certificato di agibilità è spesso collegata esclusivamente ad aspetti burocratici o di semplice dimenticanza del proprietario. Orbene, per i nuovi fabbricati o quelli oggetto di interventi edilizi successivamente alla entrata in vigore della L. 380/2001 le due questioni coincidono, essendo obbligatorio munirsi della certificazione. Se l’acquirente non intende avvalersi del suo diritto di rifiutare l’acquisto per inadempimento del venditore (che ha l’obbligo di fornire il certificato) dovrà valutare quali siano i motivi dell’eventuale difetto del certificato e verificare se si tratta di una mancanza dovuta a motivi formali e/o dimenticanze ovvero di una mancanza dovuta alla carenza sostanziale di agibilità (come ad esempio l’ipotesi di rifiuto dell’Amministrazione comunale). Per gli immobili risalenti nel tempo, e cioè precedenti alla entrata in vigore della legge, occorre precisare che l’acquirente non ha diritto di rifiutare l’acquisto per la sola mancanza della certificazione,  la inesistenza della agibilità o meno – a questo punto sostanziale – va valutata dall’acquirente a seconda dello stato di fatto. L’acquirente deve quindi valutare autonomamente se l’immobile è adatto o meno alle sue esigenze, e se cioè ha quella che abbiamo chiamato agibilità sostanziale: il certificato può anche sussistere perchè magari il proprietario se l’era procurato in base ad una legge ormai abrogata,  ma può anche mancare legittimamente perché all’epoca non doveva essere obbligatoriamente richiesto, ed oggi, anche se fosse richiesto, il certificato di agibilità potrebbe addirittura legittimamente non essere rilasciato dai Comuni per i fabbricati esclusi dalla previsione normativa. Se non altro perché il certificato deve essere redatto dalle Amministrazioni ai sensi della normativa in vigore al momento della costruzione (o del successivo intervento edilizio), il che non è certo cosa semplice a distanza di anni.

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